Premetto che non mi considero un lettore modello. O forse non mi considero semplicemente un lettore. Non sono un divoratore di libri, un quattrocchi (nonostante gli occhiali) immerso nelle prefazioni e nei riferimenti bibliografici; preferisco a volte la trasposizione cinematografica, più assimilabile e spettacolare, rispetto all’originale cartacea, riposta magari in qualche angolo di anguste biblioteche, habitat preferito di studenti misantropi. La pigrizia mi allontana dalle realtà che però solo sui libri riescono a far trasparire l’emozione dell’autore in questione, che sul suo racconto trascrive sensazioni personali e recondite, che fanno sembrare la storia un diario personale, di quelli rinchiusi a chiave nel cassetto del comodino, e venuto alla luce chissà per quale motivo.
Il libro in questione si chiama Gomorra. Un titolo forte, che rievoca l’antica città di biblica memoria. Città del peccato, dell’eccesso, che si addice a meraviglia al contesto descritto.
L’autore è Roberto Saviano, giovane giornalista che collabora in testate come “L’Espresso” e “La Repubblica”. Curriculum di tutto rispetto. L’ambiente in cui il tutto si sviluppa è Napoli, città associata a Gomorra, in cui il Signore dell’antico testamento, spietato e vendicativo, ha fatto piovere dal cielo zolfo e fuoco, riducendola in un deserto arido e inospitale. Città il cui destino è controllato da un impero che fa della violenza la propria forza, della paura un obbligato assenso, dell’omertà una difesa invalicabile e dei morti e della sofferenza una facile dimostrazione di supremazia. Questo impero è definito più e più volte un ‘Sistema’. Questo impero è la CAMORRA. L’autore, nato nella Napoli di fine anni 80, è allo stesso tempo cronista staccato e vittima designata. Descrive il susseguirsi di eventi, di stragi, di faide assassine, di completa assenza di legalità, come si scrive la lista della spesa. Un elenco infinito e macabro, sempre accompagnato da sensazioni personali,da citazioni, da intercettazioni telefoniche, che hanno un’efficacia probatoria che danno a questo elenco la prova di esistere, la prova che tutto ciò che egli racconta è tangibile e non si discosta da scene cinematografiche inventate, come si vedono ne ‘I Soprano’ o nei vari film che hanno reso le associazioni mafiose di pubblico dominio.
I nomi inseriti in questo libro sono tutti veri. Gennarino McKay, Sandokan Schiavone, Ciruzzo O’Milionario sono tutte persone che hanno una storia vissuta, che si sono macchiati di sangue e lacrime. Immaginate un racconto che ha come protagonisti Vito Corleone, Tony Soprano, Carlito Brigante. Trasportiamoli da New York, dal New Jersey, da Miami in cunicoli di vie che circondano Napoli; a fare la spesa a Scampia, passeggiare per Casal di Principe, portare il loro figlio a Secondigliano. Adattiamo i loro visi, le loro abitudini, i loro modi di dire a soggetti che potremmo incontrare al supermercato, in posta, in qualsiasi luogo. Perché quello che il libro riesce a trasmettere è l’assoluta normalità degli avvenimenti. Uccidere, rubare, ricattare. Sembra che tutto sia assolutamente lecito, o addirittura obbligato. Questa narrazione fa sembrare le scene viste nei film, non scene di fantasia, ma scene che la strada ha ispirato al regista di turno.
L’eccesso cinematografico e la spettacolarità degli effetti speciali non hanno più senso.
Tutto sotto la luce del sole. È tutto vero.
Il libro spazia i vari argomenti propri del ‘Sistema’; le merci, che hanno nel porto di Napoli il punto di partenza, per poi finire in fabbriche in cui la parola legalità ha perso ogni significato. Lavoratori a cui è stata tolta l’assistenza medica, il godimento del periodo di ferie, la semplice busta paga. La Costituzione non è altro che un foglio di carta igienica di un autogrill, la dignità è schiacciata dall’importanza del profitto ad ogni costo. E la fame e la povertà fattori insensibili ai soprusi. E poi la droga, fonte inesauribile di ricchezza, che rende adolescenti pusher uomini d’affari di decennale esperienza, e tossici esseri monocellulari destinati a scomparire nel nulla. L’industria del cemento, appalti vinti col sangue, foreste di immobili che si innalzano tanto da far scomparire il sole. Faide, pallottole, kalashnikov. Lotte tra boss, tra famiglie, tra amici. Non esistono i sentimenti. Un nemico deve morire. Non importa il suo ruolo, principale o marginale che sia. L’unica cosa che importa è l’imposizione del clan, l’egemonia. Nessuno è innocente. Tutti sono sacrificabili. Il valore della vita non è niente in confronto a quello della banconota. E’ facile leggere di boss padroni di veri e propri imperi secondari, costole del sistema. Distese di appartamenti, ville, negozi, che vanno dalla terra degli yankee alla fredda Ucraina. Sono rimasto sbalordito dall’ammontare di liquidità sequestrata in questi anni dall’Anfimafia. Miliardi di euro. Ma la cosa che Saviano fa capire è il modo in cui tutto questo viene assimilato dai boss. Il modo è sempre lo stesso. Il sangue. L’autore riesce a trasmettere al lettore la sensazione di essere presente, quasi protagonista del fatto raccontato. Sembra di essere lì con lui. Mentre corre sulla sua vespa a visitare il luogo di un massacro, mentre intervista la madre disperata di una figlia accidentalmente coinvolta in una sparatoria che non tornerà mai più,mentre partecipa al funerale di un boss, mentre riflette nella sua testa che tutto ciò non ha senso, che tutto ciò succede a pochi chilometri da dove e nato, all’interno di questa Italia, di cui anche io faccio parte. Saviano ha aperto gli occhi. Ha raccontato i fatti superando la paura, l’indifferenza e il suo successo è meritato. Consiglio a tutti questo libro. Non parla solo di carnefici, ma anche di eroi. Eroi che a loro spese hanno cercato una via di fuga, hanno cercato di sostituire il Signore contro Gomorra. Ed è da queste persone, come Don Diana, sacerdote ucciso dalla camorra e i più famosi Falcone e Borsellino e da tanti altri che noi dobbiamo partire.
Sarebbe bello sognare un paese in cui è la legalità la cosa più importante, in cui la giustizia ha un processo veloce e sta dalla parte dei più deboli. Perché anche se Napoli è lontana dalla bassa veronese in cui vivo, leggendo questo libro capisco che la camorra è presente, con il suo alito di rifiuti tossici e scheletri che riposano nel fondo di un fiume.
Complimenti all’autore. Leggete e capirete.
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